Il destino dei nostri rifiuti: è solo immondizia?

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L’incenerimento

Quando si parla di combustioni, dobbiamo far riferimento al principio di conservazione della massa e dell’energia enunciabile con la famosa frase niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma: nel nostro caso, il rifiuto è utilizzato come combustibile ed è ridotto in cenere, con tanta energia sviluppata sotto forma di calore.

Se questo calore viene sfruttato per produrre energia elettrica, come avviene in una qualsiasi centrale termoelettrica che brucia combustibile fossile, si parla di “termovalorizzazione”, da qui l’uso comune di parlare di inceneritori e di termovalorizzatori quasi indistintamente.

Gli impianti moderni fanno di più perché, oltre alla produzione di energia elettrica, viene recuperata anche una gran parte dell’energia termica (normalmente dispersa nell’ambiente) dei gas, del vapore e dell’acqua calda presenti nell’impianto: ecco che si parla di “cogenerazione”.

Si può sfruttare l’energia termica in tantissimi modi, per esempio fornendo acqua calda per usi civili come il riscaldamento di edifici pubblici, abitazioni private o centri commerciali; oppure destinarla a scopi industriali nei processi caratterizzati dalla necessità di fonti di calore (industria della plastica, cartiere, cementifici e così via).

Ulteriori miglioramenti tecnologici consentono di avere a disposizione impianti di terza generazione, con una perdita di energia termica ancora minore e con impieghi sempre più vasti.

Chi volesse approfondire i dettagli ingegneristici può fare una ricerca sulla cosiddetta “trigenerazione”.

In Italia, nel 2017, il fabbisogno di energia elettrica è stato soddisfatto per più del 10% da importazioni dall’estero, tendenza in aumento a causa del sempre crescente consumo di elettricità nel paese (dati tratti dal Bilancio Elettrico Italia 2017 a cura dell’Ufficio Statistico di Terna).

L’energia elettrica, attualmente, è prodotta per la maggior parte da combustibili fossili, con frazioni sempre crescenti (per fortuna) di fonti rinnovabili, ma è innegabile che sarà impossibile affrancarsi dal petrolio, dal gas naturale e dal carbone nel breve termine.

Riuscire a produrre una frazione di energia dai rifiuti, cioè da prodotti che sarebbero destinati, ad oggi, alla compartimentazione in discarica, vorrebbe dire utilizzare meno materia prima fossile e ritrovarsi meno prodotti di scarto.

Con la cogenerazione, inoltre, se  venisse fornita acqua calda a 2000 famiglie mediante un moderno impianto, verrebbe risparmiata l’accensione di 2000 caldaie, con un computo finale di ossidi di azoto, anidride carbonica e polveri in atmosfera nettamente inferiore; con un ulteriore risparmio di migliaia di km di movimentazione dei rifiuti all’interno e al di fuori dei nostri confini.

Perché? Perché l’Italia esporta molti scarti all’estero (nord Europa sopratutto), sia per accordi stipulati negli anni sia per fronteggiare i periodi di vera e propria emergenza, lasciando letteralmente partire materiale che verrà utilizzato altrove per produrre energia.

Il trasporto avviene su gomma, navi e treni, che a loro volta hanno un impatto ambientale non certo trascurabile. Questo è chiaramente un paradosso.

Ben vengano, inoltre, tutte le proposte di attuazione di strategie per ottimizzare la differenziazione, il recupero e la diminuzione della produzione di rifiuti; tuttavia, ad oggi, anche nei centri più virtuosi c’è sempre una frazione che è destinata ad essere smaltita; l’utopia del cosiddetto “zero waste” è destinata a rimanere tale per anni, ma nel frattempo il mondo va avanti e dobbiamo fronteggiare in qualche maniera i problemi che sorgono nell’immediato.

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Autore del Post

Daniel Gialdini

Geologo, Osservatore e Moderatore. Laureato in scienze e tecnologie geologiche. Nutre una grande passione verso le scienze matematiche, fisiche e naturali. Si occupa dei report meteorologici relativi alla Regione Toscana e alla stesura di articoli scientifici relativi alle scienze geologiche.

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