Ecco chi era Daniele Nardi

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La foto più bella che ho insieme a te ce la siamo fatta alla Vigilia di Natale del 2014, davanti a un bar romano dove ci eravamo visti per due chiacchiere prima della tua partenza: stavi per affrontare il tuo terzo inverno sul Nanga, quell’anno arrivasti in solitaria fino a quota 6200 sullo sperone Mummery (eri al settimo cielo, dopo quella suppur parziale scalata, completamente da solo sulla via dei tuoi sogni, fin dove era stato possibile arrivare “by fair means”, con mezzi leali, con le proprie forze), e poi accettasti l’invito a unirti alla spedizione sulla via Kinshofer capeggiata proprio da Alex, quando rinunciaste a un tiro di schioppo dalla vetta, per salvare la vita all’altro compagno di scalata, Muhammad Ali, che stava male.

E quando tornasti in Italia, lo testimoniano i video delle interviste che sono ancora in rete, il tuo pensiero non era tanto alla cima sfiorata di un soffio, ma all’altra via, quella lasciata solo momentaneamente, all’idea di completare quello sperone così bello ed elegante, lungo il quale, in questi anni, hai dato forma e concreta all’ancestrale sogno del genere umano, senza il quale saremmo rimasti all’età della pietra, la voglia di conoscere se stessi e il resto dell’universo, di affrontare i limiti umani e provare a superarli, coniugando coraggio e responsabilità, slancio verso l’ignoto e voglia di tornare a casa.

Quello sperone che per te non è mai stato un modo per mettere a repentaglio la tua vita, ma al contrario per viverla nel modo più pieno che si possa immaginare, quello di chi coltiva i propri sogni, le proprie passioni e la sete di conoscenza e di ricerca. Lo sperone dove riposi ora.

Dan, ora vado, è ora di salutarci. 
Mi aspetta – come a tutti coloro che ti hanno conosciuto e voluto bene – una scalata difficile, perché stavolta all’altro capo della corda non ci sei tu, a fare sicurezza e tenere l’ancoraggio, come facesti quel giorno di gennaio sempre su quella montagna, salvando da una caduta fatale Adam Bielecki, stemperando subito dopo la tensione in un caldo abbraccio e una bella risata. Quella stessa risata che mi arrivava, forte e chiara nonostante provenisse via satellitare da una delle più remote zone del globo, quando mi chiamavi dal satellitare, e avevi sempre la capacità di sdrammatizzare, di utilizzare anche gli elementi negativi in informazioni utili a riprogrammare la strategia, e di tenere botta. 

Ho scelto questa foto: l’hai scattata tu, nel 2013. Sì certo, dallo sperone Mummery, più o meno dal punto dove sei adesso, inquadrando verso la base della montagna, quindi non solo verso il campo base ma soprattutto verso la valle del Diamir, quella che avresti poi ripercorso, a fine spedizione, per tornare a casa, dai tuoi affetti.

E’ esattamente la vista che hai ora Dan, almeno nelle giornate di sole, quando le nubi decidono di aprirti il sipario sull’orizzonte, e di svelarti tutto il panorama del ghiacciaio morenico che scende verso la valle… noi siamo laggiù in fondo, amico mio. Non perderci di vista.

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Redazione RMA

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